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Stein Riverton - Jernvognen

 

Anno: 1909 (ristampato nel 2002)
Editore: Aschehoug
Pagine: 176
Lingua: Bokmål
Origine: Norvegia

 


Stein Riverton, pseudonimo di Sven Elverstad, è senza dubbio il padre del poliziesco norvegese. Vissuto agli inizi del 1900, malgrado una vita assai breve, riuscì a dare alle stampe, con alterni risultati, quasi un centinaio di romanzi.
Jernvognen, che potrebbe essere reso in italiano con Il carro d'acciaio, è considerato da molti come il miglior giallo norvegese di tutti i tempi. Pubblicato nel 1909, appartiene alla serie di romanzi che hanno come protagonista Asbjørn Krag e che, qualitativamente, rappresentano l'apice della produzione letteraria di Stein Riverton. 
Il libro trova ambientazione su un'isola del sud della Norvegia, dove alcuni villeggianti stanno trascorrendo le loro vacanze presso una fattoria-albergo. L'idillio delle splendide giornate estive è rotto dal ritrovamento nella brughiera dell'isola del cadavere del giovane agente forestale Blinde, da poco fidanzatosi con l'attraente Hilde Gjærnes. Per investigare su questa morte sospetta viene chiamato da Kristiania il detective Asbjørn Krag.
Come nella migliore tradizione poliziesca di quegli anni fa presto irruzione nella narrazione la componente soprannaturale, introducendo la leggenda di un vecchio carro d'acciaio che da decenni percorre rumorosamente le lande desolate dell'isola, senza lasciare traccia e senza mai essere visto. È il carro appartenuto ad un vecchio proprietario della fattoria che si narra abbia cercato e trovato la morte proprio su quel carro. Da allora si dice che ogni volta che sull'isola risuona il suo sinistro fragore, è il segno che qualcuno sta per morire. E, curiosamente, quel suono viene udito la notte stessa in cui il giovane Blinde viene trovato morto e, per complicare ulteriormente le cose, anche quando il nonno di Hilde viene ucciso sulla stessa brughiera proprio a poca distanza dal luogo in cui si trova Krag.
Piano piano vengono alla luce vecchi rancori, assurde gelosie e antichi crimini sepolti dal tempo. E il disvelamento finale, che risolve antichi e recenti enigmi, mostra una realtà ben diversa da quella che sembrava.
L'impianto del romanzo è in fondo tradizionale: l'elemento soprannaturale e l'ordinata sintesi finale non possono che rimandare ai migliori esiti narrativi di autori come Conan Doyle o, in parte, Agatha Christie. Quello che appare nuovo è una profonda analisi psicologica dei personaggi accompagnata da un'appassionata descrizione della natura selvaggia che spesso si avvicina, per ricchezza e autenticità, alla prosa del grande Hamsun.
In conclusione credo che il romanzo meriti sicuramente una buona traduzione italiana, magari per i tipi di Sellerio che sta coraggiosamente e meritevolmente riscoprendo gli storici lavori della coppia Sjöwall/Wahlöö o, perché no, per i tipi di Iperborea, che ha recentemente scoperto il noir con alcuni titoli di grande qualità.
 
Riccardo Marmugi
 

Voto: 8/10

 

   
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